Non è un paese per giovani

I NEET (under 30 che non stu­di­ano e non lavo­ra­no)

Di Daniela Piesco

“Non è un paese per gio­vani” è sta­to un film di Gio­van­ni Verone­si del 2017 in cui si rac­con­ta­va la sto­ria di due ven­ten­ni che, non per rab­bia ma per dis­il­lu­sione, decide­vano di abban­donare l’Italia, accom­pa­g­nati dal­la con­sapev­olez­za che pro­prio il loro paese, il luo­go dove avreb­bero volu­to ved­er real­iz­za­ti i pro­pri sog­ni, ave­va invece calpes­ta­to sper­anze e ambizioni.

Ebbene, res­ta purtrop­po sem­pre attuale il del­i­ca­to tema dei gio­vani ital­iani e del­la loro fuga all’estero in cer­ca di un lavoro. La cosa che più colpisce è che i ragazzi che deci­dono di trasferir­si all’estero per man­can­za di oppor­tu­nità in Italia sono quel­li di cui si ha mag­gior­mente bisog­no, per­ché con la loro deci­sione dimostra­no cor­ag­gio, deter­mi­nazione e voglia di met­ter­si in gio­co. E queste sono le carat­ter­is­tiche più preziose in un gio­vane.

Spes­so lo sguar­do ester­no si fer­ma ad un’analisi super­fi­ciale e diviene sem­plice definir­li sban­dati o fan­nul­loni. Nes­suno riesce o può vedere nel pro­fon­do il dis­a­gio dei gio­vani, anche se, dati alla mano, non pos­si­amo far fin­ta che non esista.

Pen­si­amo all’aumento dell’uso delle droghe e dell’alcol (oltre il 50% tra i 15 e i 24 anni fa uso di cocaina), o ai prob­le­mi ses­su­ali che colpis­cono il 70% dei gio­vani ital­iani; per non par­lare del­lo sta­to di sof­feren­za spes­so estrema che si vive all’interno delle famiglie, che traspare nel fat­to che 800.000 ragazzi in Italia sof­frono di depres­sione.

Par­liamo di per­sone che pro­prio nel pas­sag­gio deci­si­vo ver­so l’autonomia del­la loro vita non han­no acquisi­to la matu­rità nec­es­saria per saper ben amare e ben lavo­rare, e si trovano dis­ori­en­tati e in balia dei pro­pri istin­ti o di qual­si­asi even­to.

Cosa c’è dietro tut­to questo?

E come aiutare i gio­vani di oggi a trovare la stra­da per esprimere in pienez­za tutte le mer­av­igliose poten­zial­ità del­la loro vita?

Non pos­si­amo negare che le famiglie sono in forte dif­fi­coltà (ora­mai qua­si il 50% di quelle ital­iane sono sep­a­rate), che la scuo­la non riesce a incidere su una cresci­ta che vada al di là del­lo svilup­po razionale dell’individuo, e che la cul­tura cor­rente che pas­sa in gran parte attra­ver­so i mass media rispec­chia e per­pet­ua il vuo­to pro­prio del­la soci­età ital­iana di oggi, defini­ta dal Cen­sis “poltiglia e mucil­lagine”.

Eppure non sono i gio­vani ad essere in difet­to, è una cul­tura come “vita” che man­ca. Occorre sti­mo­lare la loro con­sapev­olez­za, la loro capac­ità di cer­care il pro­prio pos­to nel mon­do che cam­bia e di raf­forzare com­pe­ten­ze ed espe­rien­ze utili a rag­giun­gere obi­et­tivi pro­fes­sion­ali e di vita desiderati. Al di là del tito­lo di stu­dio, come mostra la recente indagine di Union­camere, sono pro­prio espe­rien­ze e com­pe­ten­ze a fare la dif­feren­za.

Il futuro di un paese si può allo­ra mis­urare dal numero di gio­vani che met­tono in relazione pos­i­ti­va il binomio “impara­re” e “fare”, all’interno di un proces­so che por­ta a miglio­rare con­tin­u­a­mente non solo conoscen­ze e abil­ità tec­niche, ma ali­men­ta anche la fidu­cia in sé stes­si e il deside­rio di capire e saperne di più per provare a fare anco­ra meglio.

Solo quan­do il cor­ag­gio dei gio­vani si affi­an­ca all’esperienza dei “vec­chi”, una nazione può pros­per­are, soprat­tut­to sot­to il pro­fi­lo eco­nom­i­co. L’alternativa, purtrop­po vis­su­ta, è la loro fuga ver­so Pae­si che offrono loro di più dell’Italia. Un Paese che non investe sui gio­vani è un Paese sen­za futuro.

La stra­da da per­cor­rere

La stra­da che bisogna nec­es­sari­a­mente per­cor­rere è quel­la di con­vin­cere le banche a sostenere mag­gior­mente le aziende avvian­do prog­et­ti che pos­sano definir­si reali.

Per essere “veri” tali prog­et­ti devono accom­pa­g­nar­si ad un aumen­to di quan­tità e qual­ità del lavoro. Per essere “soli­di” devono inserir­si nei per­cor­si più promet­ten­ti di svilup­po di questo sec­o­lo. Entram­bi questi ele­men­ti con­ver­gono nel portare al cen­tro il cap­i­tale umano delle nuove gen­er­azioni. Non è un caso che le economie avan­zate che stan­no crescen­do di più siano quelle con più ele­vati liv­el­li di for­mazione dei gio­vani e più bas­sa dis­oc­cu­pazione gio­vanile.

L’Italia, ad esem­pio, è un Paese in cui si investe anco­ra poco in start­up rispet­to a Pae­si anche con­fi­nan­ti, poiché la buro­crazia rende dif­fi­cile la vita di un’impresa e la con­quista di investi­tori esteri.

Politiche di inves­ti­men­to per un cam­bi­a­men­to rad­i­cale

Occorre dunque una seria polit­i­ca degli inves­ti­men­ti pub­bli­ci e pri­vati che superi la log­i­ca dell’assistenzialismo e spen­da i fon­di che la Comu­nità Euro­pea mette a dis­po­sizione.

Il Paese ha bisog­no di un rad­i­cale cam­bi­a­men­to: la rispos­ta non può che venire da gov­er­no e regioni.

Politiche di svilup­po, for­mazione e inclu­sione atti­va nel mer­ca­to del lavoro devono quin­di essere parte di una stes­sa strate­gia. L’investimento dei gio­vani sul­la pro­pria for­mazione e sul­la cresci­ta per­son­ale deve essere aiu­ta­to a diventare vin­cente in ter­mi­ni di ritorno occu­pazionale e remu­ner­a­ti­vo. Così come l’investimento pub­bli­co sulle nuove gen­er­azioni deve diventare vin­cente per la col­let­tiv­ità in ter­mi­ni di nuo­va ric­chez­za eco­nom­i­ca prodot­ta e nuo­vo benessere sociale gen­er­a­to.

L’opposto di un paese in cui più si stu­dia e più aumen­ta la prob­a­bil­ità di andare all’estero e non tornare.

Daniela Piesco

📧 redazione@corrierenazionale.net

 

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